La Ruta del Veleta fa parte dell’elenco dei migliori 100 ristoranti di Spagna, su indicazione della guida Buena Mesa, e dei tre migliori di Granada.
E’ appena fuori città, 4 km. dal centro, sulla strada che porta alla Sierra Nevada, nel paesino di Cenes de la Vega. Il villaggio non è un granchè, costruito quasi tutto lungo la strada principale, come molti nostri paesi della bassa, ma l’edificio del ristorante stacca nettamente dal resto, essendo costruito (non da moltissimo tempo) tutto in mattoni faccia a vista e legno, con alcune soluzioni estetiche parecchio originali.
Appena entrati, ci prende quasi un colpo per lo sfarzo e l’eleganza dei locali, molto classicheggianti, con travi in legno lavorato, dipinto, dorato, enormi quadri antichi alle pareti, lampadari di cristallo, lesène dorate a ridosso dei muri, sedie molto simili a quelle di Versailles del re Sole, altri mobili ottocenteschi o simili, tutte cose che danno l’idea di una certa ricerca e raffinatezza, seppur nel solo ambito classico, tendente al barocco.
Spicca e si differenzia dal resto solo la foto di Maradona, che è venuto a mangiare lì quando giocava nel Barcellona.
Avevamo prenotato (volevo strafare ) e veniamo gentilmente accompagnati nella terrazza, trasformata in patio arabeggiante, con fontane e zampilli d’acqua, molto più composto ed ordinato del Trillo (ved. recensione). A fianco ancora sale da pranzo con notevole sfarzo e luccichii.
I camerieri sono in pantaloni neri e camicia bianca con farfallina, mentre il maitre, gentilissimo, calmissimo e disponibile, è in completo nero, somigliante molto ad un frack.
La gente è poca, ci sono solo tre tavoli occupati, anche perché sono solo le nove e mezza di sera. Verso le dieci e mezza la terrazza si riempirà.
Tavolo rotondo, dove stiamo bene in sei, e tovaglia bianca di Fiandra, grande dispendio di piatti, posate e bicchieri. Grandi spazi tra i tavoli.
Mentre guardiamo il menu, ci viene offerta una mise en bouche costituita da un salmorejo assieme ad una bruschettona di pane fatto in casa con olio (eccellente) e aglio caldi. Per chi non lo conosce, il salmorejo, servito qui in un bicchiere (ma in altri casi in ciotole di terracotta), è una crema emulsionata di pomodoro fresco, assieme a poco aglio frullato fine dentro, e guarnito con striscioline di prosciutto serràno iberico. Fresco, dissentante, intervallato dai bocconi di bruschetta calda, buonissimo. Roba tipica Andalusa, si chiama anche cordobès, quindi penso che provenga da Còrdoba.
Ci facciamo quindi portare un rosè El Grifo – Rosado de Lanzarote, del 2010 da 13°. Non avevo mai bevuto un vino delle Canarie. Mi viene fatto prima assaggiare con tutti i sacri crismi: colore rosa con appena alcuni accenni violacei, il profumo è di frutta fresca e fiori, sembra prevalere la fragola, in bocca è come nel naso, prevale il sapore di frutta e di fragola in particolare, fondo però parecchio salinato, terra vulcanica quella di Lanzarote. Eccellente.
Assieme, anche una bottiglia di acqua gasata (S.Pellegrino! che in Francia e in Ispagna viene considerata molto).
La serata è tranquilla, anche dal punto di vista emozionale, e per niente calda, temperatura giusta, niente mosquitos. Posso dunque apprezzare con calma e tranquillità questa splendida cena.
Io e la Marta ci dividiamo i due piatti di portata, che, contrariamente a come avviene di solito in posti come questi, sono abbastanza abbondanti.
Filetto di cinghiale con salsa al Madera, presentato su un cerchio da coppa, assieme a pasta di zucca caramellata, su cui sono state sovrapposte le fettine di filetto a forma di piramide. In cima alla piramide una mouse di zucca, tutto in un grande piatto tondo, affiancato da uno spiedino con pomodoro, ananas e zucchino. Tenerezza e gusto impensabili, ricercata ed indovinata mescolanza di sapori, col dolce del Madera che mitiga il selvatico del cinghiale.
Facciamo portare ancora del loro pane fatto in casa, scaldato, oliato ed agliato.
Tranci e cosciotto disossato di agnellino da latte (perna, si chiama), servito con purè di patate cotto con semini indecifrabili. Anche questa carne di una tenerezza e di un gusto incredibili, ed anche in questo caso il gusto forte dell’agnello e mitigato in modo soft.
Piatti straordinari, perfetti, bravissimi!
Ordiniamo un dessert in due.
Prende il nome da Pio IX, perché venne “inventato” a Granada in onore di una visita di quel Papa: sono dei biscotti fatti con pasta di pan di Spagna arrotolato a cilindro, imbevuti in un liquore tipico grandino (di cui non mi sono appuntato il nome) e serviti su un piatto rettangolare con gelato al torrone, cremina rossa di mosto ristretto (simile ai nostri sùgoli), guarnizione di more, ribes rosso e fragole. Superlativo. E anche in questo caso quantità per niente ridotta.
Dopo il caffè dei nostri amici, ci viene offerto un ultimo “addolcimento” con gelatine fatte in casa (ce l’hanno detto) agli agrumi, assieme a biscottini al cioccolato e lecca-lecca al fondente con striature di cioccolato bianco. Delizioso.
Alla fine, il maitre ci ha fatto visitare le cucine, che sono di una pulizia e di una perfezione assolute, e gli altri locali-taverna del piano seminterrato, bellissimi con migliaia di caraffe bianche e blu di ceramiche, tutte uguali, appese al soffitto, col culo in su, ed assieme a tante altre suppellettili interessanti… non ultima la Coppa del Mondo di calcio (fac-simile naturalmente), in attesa che il giorno dopo vengano i giocatori dell’Atletico Madrid a mangiare, successivamente alla partita amichevole che dovevano fare con il Granada, risalito in serie A dopo decenni di Purgatorio.
Il conto è di 71 euro per noi due. In Italia, in un posto del genere, paghi minimo il doppio o di più.
Cinque cappelli superiore.
Imperdibile!!!
[Heinrich-von-Trotta]
04/08/2011