Sulla via delle Abbazie della birra trappista – 3
Eesssss... salirò, salirò, salirò...
http://www.youtube.com/watch?v=SH_xyi_EdMc
... ancora verso nord...
Siamo al centro delle Ardenne. La musica sta solo nel paesaggio, ma un po’ ne sento la mancanza in questo viaggio. Tutto attorno è foresta di abeti. Anche se siamo a 300 mt. di quota, qui l’aria del Nord arriva in tutte le stagioni e il clima è come da noi in estate a 1.000 mt.
Le Ardenne sono un enorme altopiano ondulato, in buona parte coperto da foresta, con qualche improvvisa roccia ogni tanto, che forma strette e fonde vallette. Piccoli villaggi di pietra grigia o case di mattoni prefabbricati, fatte col stampìn, tetti a punta.
Non ci sono molti ristoranti su cui fare affidamento in zona, e così avevo puntato questo locale su Internet, a casa mia, prima di partire. Senza titubanze, me lo faccio prenotare dalla signora che gestisce il nostro B&B, a qualche km. di distanza.
Edificio semplice dall’esterno, a bordo strada, ma quasi in mezzo alla campagna (solo una casona vicina), con un tetto molto pendente e pareti di pietra faccia a vista grigia, caratteristica, come detto, di queste zone.
Anche dentro è curato bene, ambiente raffinato e... vuoto...
Tutti gli avventori vengono infatti smistati sotto un gazebo all’altezza del giardino del piano seminterrato, ad una decina di metri dal fiume Ourthe, che scorre calmo e placido in mezzo al verde, anche questo tutto curve.
Vedo che mi guarda, mi fissa insistentemente.
Ha un colorito olivastro, decisamente abbronzato, un ometto piccolo, capelli corvini, leggermente brizzolati... e non distoglie lo sguardo da me.
“Ahia...” ho pensato, devo aver detto o fatto qualcosa contro i mediorientali... sono forse l’obiettivo di qualche attentato? punta la borsa di mia moglie? abbiamo sempre ste cose in testa, portate pazienza...
“Siede idaliaaaani?”
“sì... “
“UEH, SONO IDALIANO ANGH’IOOOO ! VENGO DA CALABBRIA !
Fiuuuuu...
Per dieci minuti il nostro amico ci racconta la sua storia, di lavoratore emigrato, da quasi 40 anni in Belgio... bellissimo... uno spaccato umano che un po’ mi commuove... (ripetuto due giorni dopo ad un distributore di benzina, con un immigrato diverso)... tra qualche mese andrà in pensione e tornerà nella sua Calabbria...
“A Vincè, io in pensione chissà mai quando ci andrò, con le nuove leggi italiane... qua in Belgio son 40 anni, da noi intanto son diventati 43...” concludo io, ma quasi senza sentire la mia voce, perché dalla casona vicina è cominciata intanto ad uscire, a volume smanettato, una paranoicissima musica tecno, che mi faceva sobbalzare le viscere e vibrare la scatola cranica.
Dopo aver salutato Vincè, che da qualche anno non incrociava italiani in quei posti, chiediamo di andar dentro.
La pace dei sensi.
Vediamo il fiumetto dalla vetrata, che scorre dando un senso di tranquillità, sparisce la tecno, arriva solo un leggero jazz di sottofondo assieme ad una mise en bouche favolosa: in un vassoietto di legno, da una parte un bicchierino di zuppa calda di pomodoro non so condito con cosa, in centro un mini creme brulèe in una ciotolina bianca, a destra un guscio di granchio ripieno di gamberetti gratinati assieme ad una besciamelle.
Da bere ci facciamo portare due Rochefort Otto.
La mia Rochefort verrà poi duplicata con una Duvel (che in fiammingo vuol dire diavolo), birra artigianale che fa 8,5 gradi, secca, bionda, rifermentata in bottiglia, schiuma molto potente, tanto che viene servita con un bicchiere diverso da tutti gli altri, un po’ più alto, proprio per dare spazio alla schiuma (ci vien detto).
Non vorrei dimenticare: in Belgio, ogni birra va bevuta rigorosamente nel suo bicchiere nominale, una sorta di coppa tipo Sacro Graal, col marchio della birra sopra.
Anticipo anche, per informazione: GRAVE ERRORE! bere due birre così, insieme, e di questa gradazione, a me ha provocato una sudorazione terrificante, avevo gocce che scendevano da tutte le parti, senza soluzione di continuità... e non c’era caldo...
Prima entrèe: su un rettangolo di ardesia ci viene portato un foie gras della dimensioni di una palla da golf, forse qualcosa di più, ricoperto di farina di pan d’epices, una fetta tostata di pan dolce con l’uva e una pentolina di porcellana con pesche cotte assieme a semini di vaniglia. Ottimo, ricercato e particolare.
Lo chef deve amare la commistione del dolce-salato.
Seconda entrèe: fagottino di coniglio disossato con pistacchi. Squisito, tenerissimo, saporitisimo.
Il fagottino è formato da un materiale che sembra cellophane, che però dovrebbe consentire cotture molto lente, che mantengono tutti i succhi e rendono la carne più tenera e saporita.
In un cestino separato, pane integrale (tiepido e fragrante) fatto in casa con erbe provenzali e olive, servito col burro da spalmare.
Il piatto principale, per entrambi, era una bouillabaisse, cioè zuppa di pesce alla francese, dove ho visto con certezza solo i gamberi, e poi altre tre qualità di pesce di difficile individuazione, servita con crostino alla senape piccante e senape leggera nel brodetto. Buonissimo (e giù birra...)
I tempi delle portate sono sempre perfetti, dentro si sta benissimo... vediamo che un paio di gruppi di persone optano per la nostra decisione e vengono dentro anche loro (ettecredo...)
Arrivano anche i dessert: mousse al cioccolato, che francamente non ricordo più com’era fatta, scusate (mi sa che ero quasi ubriaco di birra...) e pesche in cocotte con gelato alla vaniglia…
Purtroppo non riesco a descrivere meglio i dessert perché è passato del tempo e sul nostro GustaBook, la mia segretaria li aveva segnati solo in modo succinto . Ma erano deliziosi e presentati benissimo.
Conto di 80,70 euro, pagati volentierissimo per un posto d’alta cucina, che non mi sento di penalizzare per l’unico inconveniente non dipendente da loro (l’infelice musica tecno), e comunque superato.
Imperdibile!!!
[Silli]
02/09/2012